La figura del Tammurinaro, come lo chiamiamo a Troina, affonda le sue radici nella notte dei tempi: già greci ed egizi lo utilizzavano per radunare la folla prima degli annunci dell'araldo o, in tempo di guerra, per dettare i passi di marcia e per suonare l'attacco e la ritirata.

Nel medioevo i Tammurinara erano usati soprattutto in ambito militare, ogni settore dell'esercito aveva un suonatore di tamburo ed erano essi stessi dei soldati.

La festa dei Rami vede protagonista il rullo dei tamburi fin dai primi incontri del mese di maggio, quando si inizia a stringere, tirare le corde e provare le sonorità in vista del viaggio ormai prossimo.
Molti oggi, i giovani troinesi appassionati di questo antico strumento, forse poco apprezzato perché ritenuto troppo popolare, ma intriso di storia e vita!

"Il tamburo non è uno strumento. Ha una vita propria e un'anima che si lega a chi lo suona con un forte sentimento di appartenenza, quasi fosse un figlio... lo si deve custodire e preservare. Per me è difficile separarmene."

Inizia così il racconto di un giovane ventisettenne troinese che da quando aveva quattordici anni si è avvicinato al mondo dei Tammurinara e non ha mai smesso di farne parte. "Se devo essere sincero, l'unica nota sul registro di scuola l'ho avuta perchè continuavo a tamburellare con le dita sul banco durante le lezioni", mi confessa nostalgico Giuseppe.
"Quello che sono oggi lo devo alla mia passione per la musica, nata grazie ai miei genitori che fin da piccolissimo mi hanno portato a ballare con loro: rimanevo, per tutta la sera, incantato a vedere le dita sfiorare i tasti della fisarmonica che produceva poi quel suono per me magico... così chiesi loro di poter prendere lezioni ed imparai davvero a suonare. Ero bravo, almeno così dicevano i grandi. A dodici anni, iniziai a guardare con interessata curiosità il Tammurinaro che accompagnava le processioni. Decisi di costruirmi il mio personale tamburo con una vecchia latta di ducotone e due rametti come bacchette. Provavo ogni volta che mi portavano in campagna, ero sicuro che prima o poi sarei riuscito a convincere il signor Purrazzo, unico tamburinaro in quel periodo, della mia capacità di rullare con il tamburo. Purtroppo non andò come pensavo. Tramite un amico con la mia stessa voglia di imparare, gli chiedemmo se potesse insegnarci la tecnica, ma ricevemmo un no grande e categorico. La spensierata fanciullezza non ci fece abbattere, anzi... con infinito zelo il mio amico iniziò a partecipare ad ogni processione in cui c'era il signor Purrazzo e armato di registratore, - rubò - il ritmo delle sue bacchette e studiò ogni sua suonata. Ma ovviamente nè io nè lui avevamo un tamburo vero, ed era impensabile chiederne uno ai nostri genitori. Lui decise di rivolgersi al vecchio massaro dei Ramari, custode del vecchio tamburo dell'associazione, per usarlo ed imparare quindi a suonare finalmente un tamburo vero. Per me non fu altrettanto facile, la disponibilità di farmi partecipare alle - lezioni - fu quasi nulla, mi apparve subito come un privilegio che io non avrei mai avuto. Ma si poteva vietarmi di suonare solo perché ero troppo piccolo? La ritenevo una grande ingiustizia."

Forse era davvero troppo giovane Giuseppe, ma di certo rimaneva intenzionato a diventare un Tammurinaro. L'occasione infatti gli si ripresenta quando riceve il permesso dei genitori di partecipare al viaggio dei Ramari. L'anno precedente aveva già accompagnato lo zio 'ddararo nel viaggio a San Silvestro, così a quindici anni potè fare il suo primo viaggio da fratello ramaro.
"Ammetto che la prima volta andai perché volevo sentirmi grande, volevo sperimentare l'indipendenza di poter frequentare gli adulti in un percorso che comunque sarebbe durato più giorni. Da allora ho fatto ben 13 viaggi votivi in onore di San Silvestro, intimamente sentiti e da cui ho avuto molteplici - segni - che mi fanno credere ancora di più nella sua benevolenza e in quella di Dio. Oggi mi sento un fedele devoto al 100%."...

"Mi si aprì un intero mondo, fui accolto dagli anziani come un allievo cui tramandare la tradizione. Andai dal massaro Luigi ogni giorno, per molti mesi e potei così suonare, con mia grande sorpresa ho dovuto anche imparare a camminare suonando, che vi assicuro non è semplice. Mi dicevano che avevo una buona dote e fin dal mio secondo viaggio diventai un Tammurinaro dei Ramara, e di quasi tutte le processioni di Troina.
Ho avuto la grande fortuna di portare a casa il tamburo dell'associazione e iniziai quindi a - studiare - su come costruirne uno exnovo. Cercai notizie e informazioni, ma chi sapeva come fare non aveva intenzione di dirmelo. Impiegai quasi un anno per raccogliere tutto il materiale e soprattutto le indicazioni su come procedere. Mi aiutarono i forestieri che ogni mese vengono a vendere i loro prodotti,
nella tradizionale fiera agricola (piazzetta). Mi dissero che ci volevano delle corde, del rame, una tipologia di legno e molte altre cose che acquistavo ogni volta che riuscivo. Mi mancavano però degli elementi essenziali ma quasi introvabili: i budduna, le bacchette e soprattutto la pelle animale. Occorreva una particolare lavorazione per realizzare del buon cuoio dalla pelle di capra e nessuno voleva dirmi come fare. Non con poche difficoltà, iniziai a procurarmi le pelli... sacrificando una capra nera ci provai. Con inmmenso stupore riuscìì a farlo davvero. Con l'intestino delle capre realizzai i budduna, elementi essenziali che danno un piccolo rinculo sotto al tamburo e che richiesero molti e difficili tentativi. Ma alla fine, assemblando ogni elemento, dalla carcassa con i due cerchi, al cuscino coi tiranti il tamburo suonò e lo fece molto bene. A volte mi si chiede perché tutto questo impegno... I miei tamburi oggi me li costruisco da solo, utilizzando due cerchi e della pelle di capra, diversa da quella nera, la prima, che io non dimenticherò mai... perché il tamburo è il mio mondo, fa parte di me stesso. Quando suono esco dalla realtà, entro in una dimensione solo mia ed esprimo quello che sento. E quello che non riesco a dire suonando, lo scrivo su di essi con gli intarsi, con cui li decoro."

Negli ultimi anni Giuseppe ha perfezionato la tecnica e suona spesso in eventi folkloristici. Molte le richieste dei suoi tamburi. Alcune ben accette nei limiti di tempo che ritaglia dalla professione di metalmeccanico, altre rifiutate per gli stessi limiti. Impiega circa sette mesi per costruirne uno e spesso ne ripara qualcuno.
Vorrebbe aprire una scuola, per insegnare ad altri ciò che sa e forse un giorno lo farà.
Giuseppe Giuliano è uno dei quindici Ramara Tammurinari. Ogni anno accompagna, con devozione gratuita, i pellegrini durante il viaggio a San Silvestro.

Lo ringrazio per aver voluto condividere con l'Associazione Fedeli Ramara la sua esperienza.